Il Territorio

Nel cuore del Salento, in uno scrigno di storia e cultura, menhir ed ulivi, muti testimoni del tempo, raccontano le fatiche dell’uomo e della natura.
È la Grecìa Salentina, territorio da percorrere in bici, ma anche a piedi, e non solo per la vicinanza fra i paesi: arte, ambiente, storia rendono interessante la campagna quanto i centri abitati. In questa terra si entra con l’anima, prima che con il corpo.
Una lingua dolce, melodiosa, risuona tra stradine e cortili, tra ulivi e campi di grano: è il griko, d’impronta bizantina, che scandisce da secoli momenti felici (canti d’amore) e tristi (moroloja, i canti funebri).
Nel viaggio, che ha il sapore della scoperta, si possono gustare i piatti di una cucina “povera” che, elaborata per bisogno, si è imposta come la più salutare e tra le più accattivanti; accompagnata da canti e danze, come la pizzica, può diventare un evento da ricordare.

Il profilo storico della Grecìa Salentina

Alba sul Salento

Il Salento, già abitato nel Paleolitico e nel Neolitico (le grotte Romanelli a Castro, dei Cervi a Porto Badisco, delle Veneri a Parabita, ecc) è un’area ricca di megaliti: menhir (dal bretone men = pietra, hir = lunga), dolmen (tol = tavola, men = pietra, lastre di pietra su ortostati infissi nel terreno), men-an-tol, (pietra col buco), specchie (dal latino speculæ, cumuli di pietre alti cinque-sei metri, e talvolta di più) Le genti egee e micenee frequentano il Salento a partire dal XVI sec. A.C. Nascono i primi villaggi; Roca sorge nel XV sec. a.C. ed è dell’Età del Bronzo una imponente fortificazione.

La gente fra due mari

Scavi archeologici a Roca, Soleto, Ugento, Lecce, ci fanno conoscere meglio i Messapi, prima popolazione documentata del Salento (IX-III sec. a. C.). Ritenuti di origine illirica, grazie a recenti indagini si torna ad accreditare per i Messapi una origine cretese. Ad essi succedono i Romani, che sconfiggono nel 273 a. C. i Messapi (alleati con Taranto e Pirro) ed occupano il Salento: toponomastica, centuriazioni, pietre miliari sono i segni di Roma. Si sviluppano le strade, soprattutto quelle che da Roma conducono a Brindisi (via Appia, la Regina viarum) e poi ad Otranto (via Traiana-calabra); dai due porti salpano le navi per l’espansione romana in Oriente.
Il crollo dell’Impero (476 d.C.), porta all’abbandono delle città e si torna a forme ristrette di aggregazione, talvolta fino a privilegiare insediamenti singoli, anche per ragioni di difesa. Nasce la civiltà delle grotte e gli insediamenti rupestri caratterizzano vaste aree della Puglia, soprattutto nelle gravine, grandi erosioni del terreno dovute allo scorrere dei fiumi per milioni di anni. Si sviluppa nelle cripte l’arte pittorica, ad opera dei Greci rifugiatisi nel Salento durante la guerra greco-gotica e, in parte, anche in seguito alle lotte iconoclaste scatenate in Oriente da Leone III Isaurico nell’ VIII e IX sec. d.C.

L’impronta di Bisanzio

Nasce nell’Italia del sud la provincia bizantina, il Thema di Longobardia, che deve questo nome al Ducato di Benevento, occupato dai Longobardi. Giungono soldati, funzionari dell’Impero, papàdes, che affiancano i monaci (basiliani in particolare); il Salento viene ellenizzato e, pian piano, il rito greco sostituisce quello latino. Muta il paesaggio agrario: per lo spietramento dei terreni si accumulano pietre e nascono i muretti a secco che delimitano le proprietà, mentre costruzioni a secco troncopiramidali e troncoconiche punteggiano la campagna. In avvallamenti nel terreno, gruppi di pozzi-cisterne dalle pareti semipermeabili, le pozzelle, raccolgono l’acqua, filtrata e arricchita di sali grazie al drenaggio nel terreno. Nelle neviere semiipogee si raccoglie e si conserva la neve, utilizzata soprattutto per scopi medici.
Nascono e si sviluppano centri bizantini, come Apigliano, primo casale bizantino scavato in Italia, il cui sito è oggi parco archeologico. Nei pressi di Casarano viene decorata S. Maria di Casaranello, a Carpignano si affresca la cripta di Santa Cristina (ad opera di Teofilatto e dei suoi allievi, nel 952 d.C.).

I conquistatori venuti dal nord

Nell’XI secolo, l’arrivo dei Normanni segna il declino di Bisanzio. Monaci e papàdes restano, ma la Metropolìa autocefala di Otranto perde la sua funzione. Gli scriptoria, dove sono stati copiati tanti codici greci e latini, producono ancora manoscritti, ma i monaci devono sottostare al Papato. L’arte bizantina non si esprime solo negli affreschi delle cripte e nella miniatura dei codici. Si affresca ad Otranto la chiesa greca di S. Pietro, poi a Soleto quella di S. Stefano; la baia di Gallipoli è dominata dalla chiesa e dall’eremo di S. Mauro, si edificano chiese dedicate in genere a santi orientali: S. Nicola, S. Biagio, S. Vito, S. Giorgio.
La Grecìa si arricchisce di monumenti di grande eleganza, come la Guglia di Soleto, edificata a partire dalla fine del 1300 per volere di Raimondello Orsini del Balzo, Principe di Taranto.

Vivere sottoterra

Si diffondono gli oliveti nelle campagne e si scavano nella tenera roccia calcarea i frantoi ipogei, attivi fino alla metà del Novecento. I frantoi ipogei offrono dei vantaggi; l’olio si conserva a temperatura costante; sono difficili i furti, perché all’interno dei frantoi vivono i trappitari, in simbiosi con gli animali da soma che fanno girare le macine. Una fatica dura impegna uomini ed animali da ottobre ad aprile. Non si torna a casa, né si vede la luce del sole. Finita la campagna olearia, con la bella stagione, spesso i trappitari diventano pescatori e per questo nei frantoi si usa una terminologia marinara; ad esempio, insieme essi costituiscono la ciurma, il loro capo è detto nachiro, ossia nocchiero.
Nei frantoi, la monotonia delle notti rischiarate dalla luce fioca delle lucerne è interrotta dallo sciakuddhi, folletto dispettoso che si diverte ad intrecciare tra loro le code di asini e cavalli.
La faticosa ma relativamente tranquilla vita dei griki è interrotta bruscamente dalla presa di Otranto da parte dei Turchi nel 1480, che impone soluzioni nuove nella costruzione delle città e nell’allestimento dei sistemi di difesa.

Si riorganizzano i sistemi di difesa

Si rafforzano i casali chiusi, cinti da mura già nella metà del Trecento e, alla fine del Quattrocento, per opporsi alle nuove potenti armi da fuoco, si ristrutturano i castelli: si abbassano le cortine, scompaiono i merli e i muri alti lasciano il posto a muri spessi (Copertino, Otranto, Acaya, Lecce,). Altri manieri non hanno più funzione difensiva e diventano residenze nobiliari (Corigliano, Castrignano, Martano).
Con Carlo V, si realizza nel '500 il sistema di avvistamento con torri lungo le coste e le masserie fortificate, dotate di sistemi di difesa passiva, proteggono dalle incursioni dei pirati illirici.
Si edificano grandi conventi, che intimoriscono i griki abituati a piccole, raccolte chiese bizantine.
Il rito latino si impone, i papàdes greci non hanno più sostituti; il rito e, con esso, la lingua greca, cominciano il loro lento declino.

Dall’edilizia domestica povera alla ricchezza del barocco

L’edilizia domestica è caratterizzata dalla casa a corte: in un rettangolo di terreno recintato si trovano in successione, partendo dall’ingresso sulla strada, un cortile (avlì), la casa (spiti), un piccolo orto (cipo).

Nella cellula base, una stanza ospita la famiglia, composta spesso da otto, dieci persone. Sotto il tetto, tra l’incannucciata e le tegole, uno strato di bolo impastato con paglia protegge appena dal caldo e dal freddo. Nel cortile si svolgono i lavori domestici ed artigianali. Accanto all’unità abitativa del capofamiglia, viene poi edificata quella del primo figlio maschio sposato e, successivamente, quella del figlio del figlio, ciascuna composta da una stanza. Gli agglomerati nei cortili si ingrandiscono e si configurano, con il passare del tempo, come primi nuclei socializzanti all’interno del paese. Nello spazio comune del cortile, il vicinato (ghetonìa in griko) condivide tutto, dagli attrezzi al pane, dalla assistenza a bambini ed anziani alla solidarietà economica.

Spesso i portali di ingresso alle corti sono impreziositi da particolari balconi, i mignani. Creati in epoca romana dal censore Gaio Menio (da cui mœniana) si sono diffusi in Oriente con l’espansione romana e sono poi tornati nel Salento in epoca bizantina per consentire alle donne una partecipazione “discreta” alla vita sociale.

Accanto alle abitazioni povere, nascono i palazzi signorili. Sobrie costruzioni rinascimentali lasciano il posto alla ricchezza sempre più ridondante del barocco, che tra Seicento e Settecento raggiunge l’apice grazie al calcare locale, la “pietra leccese”. Lecce, Galatina, Gallipoli, Corigliano, Nardò, si arricchiscono di opere d’arte, ma ciascun centro del Salento mostra i suoi putti, le sue colonne tortili, i serti di fiori, melagrane, maschere zoomorfe e antropomorfe.

Dalla lingua parlata alla lingua scritta

All’evoluzione delle strutture architettoniche si accompagna nel tempo la modifica della lingua. Mentre in epoca bizantina tutto il Salento è greco, alla fine del Cinquecento sono griki gli abitanti della fascia mediana, da Gallipoli a Otranto.

La fine ufficiale del rito greco, nella prima metà del Seicento, porta al restringimento dell’area, che si riduce ancora, alla fine dell’Ottocento, a tredici comuni (Ta dekatrìa chorìa).

Già dal Seicento la lingua è ormai trasmessa oralmente; pian piano, di essa restano in uso i termini legati alla casa ed alla vita contadina (piante, attrezzi da lavoro), mentre si perde l’uso delle espressioni letterarie colte.

Nell’ Ottocento, grazie al Romanticismo, la letteratura popolare acquista una sua dignità, si comincia a scrivere in griko, ma con i caratteri latini. Comparetti, Imbriani, Morosi, Gigli, Palumbo hanno iniziato le ricerche sul campo, proseguite nel Novecento dallo stesso Vito D. Palumbo, da G. Rholfs, D. Tondi, G. Gabrieli, M. Cassoni, O. Parlangeli, A. Karanastasis.

La lingua riesce, in parte, a resistere alla omologazione totale. Giannino Aprile ha ripreso i rapporti con la Grecia ed ha raccolto il fior fiore delle letteratura grika anonima e d’autore in Traùdia, Calimera e i suoi canti. Oggi si stampano pubblicazioni in griko, e la Grecìa Salentina sembra risvegliarsi da un lungo letargo.

 

Per andare avanti insieme

Le associazioni culturali (Ghetonìa, Chora-ma, Argalìo, Nuova Messapia, Astèria e, più di recente, Kaliglossa, Kalimeriti) e gli Enti locali hanno profuso energie per tutelare e valorizzare lingua e cultura locali con pubblicazioni, corsi, ricerche, toponomastica. Un recente progetto (2012-2013) è stato Pos Màtome griko, della Agenzia per il Patrimonio Culturale Euromediterraneo, realizzato in partenariato tra organismi italiani e greci; con esso viene proposto l’insegnamento del griko secondo lo schema utilizzato dalla U.E. per l’insegnamento delle lingue, applicato per la prima volta ad una lingua minoritaria. L’impostazione didattica è stata rivista da Salvatore Tommasi per essere adeguata all’insegnamento del griko. Allo stesso studioso si deve la nascita del sito Ciuri ce pedì, specializzato in lingua e letteratura grika. Gli studiosi Salvatore Tommasi e Daniele Palma tengono annualmente corsi di apprendimento del griko, in presenza ed anche on-line.
Le opere a stampa più recenti e rilevanti sono il dizionario Griko di Salvatore Tommasi a cui si affianca il Vocabolario del dialetto romanzo di Calimera, di Marcello Aprile, Vito Bergamo (editi da Argo, Lecce) e il cofanetto dei Quaderni di Costantinopoli (editi da Ghetonìa, Calimera) a cura di Luigi Tommasi e Jannis Sidirokastritis (con trascrizione, traduzione e studio dei manoscritti che Vito D. Palumbo aveva portato nella città sul Bosforo tra Ottocento e Novecento).
I rapporti culturali, sociali ed in parte economici, avviati a metà del Novecento da Giannino Aprile sono continuati nel nuovo secolo, soprattutto grazie alla attività della Unione dei Comuni della Grecìa Salentina. Timidi rapporti avviati in gran parte da Rocco Aprile con Istituzioni greche hanno avuto sviluppi notevoli, toccando i momenti più alti nel 2001 con la visita nella Grecìa Salentina del Presidente della Repubblica Ellenica Kostis Stefanopoulos e nel 2022 con la visita di S. E. Caterina Sakellaropoulou, Presidente della Repubblica Ellenica, nell’area ellenofona del Salento. La Cittadinanza Onoraria della Grecìa Salentina è stata conferita all’Illustre Ospite mentre una palpabile emozione era visibile negli occhi dei griki e degli amici greci