Vito Domenico Palumbo

Basta nominare Vito Domenico Palumbo perché si apra agli occhi ed ai cuori dei greco salentini un mondo di sensazioni, di curiosità, di speranze. La sua personalità poliedrica, il suo impegno civile, la sua libertà di pensiero sono stati per oltre un secolo riferimento e guida. Non solo per intellettuali o amanti della cultura grika, ma per tutti i concittadini che ammiravano il “professore”, che imparavano a memoria e declamavano i suoi versi, che acquistavano consapevolezza e fiducia nella propria identità e nel grande patrimonio culturale ereditato. Veramente, non è stato sempre così. La sua vita e la sua azione non sono state facili.
A Calimera, Palumbo era considerato da molte persone bizzarro, un po’ strano, con quella casa piena di libri, con la mania di prendere sempre appunti, con le pratiche esoteriche assieme ad amici come don Chicco (Francesco Colaci). Intanto Palumbo raccoglieva, sistemava, progettava, cominciava a realizzare: collane letterarie, casa editrice, collegi per giovani, scambi e confronti con tanti autori, dal Carducci a Politis, a Kostis Palamas. Le lingue non erano un problema, egli ne conosceva sette, che utilizzava per comunicare, per comporre, per tradurre, per inviare reportages. Ma mentre il mondo della cultura comunicava con Palumbo al di là dei confini di stati e lingue, il Nostro si sentiva solo nella lotta contro l’ignoranza, novello don Chisciotte contro mulini a vento. L’amore per la lingua e la cultura grika era così grande che per lui era inconcepibile il fatto che non se ne occupassero in molti, che non cercassero tutti di conservarla in vita e rinvigorirla. Non accettava l’idea della solitudine della sua azione e cominciò ad usare alcuni pseudonimi con cui si firmava in occasioni diverse: L’amico dei turchi – Vincenzo Taube – Democrito di Castro – Heliodora Dimitrena – Galeazzo – Dottor c.s. – Vito Muntagna – Mercurio – Erofilo. Intanto accumulava manoscritti, talvolta ordinati, pronti per darli alle stampe, spesso come appunti affastellati, vergati con una grafia minuta, talvolta incomprensibile, quasi a sfruttare ogni lembo di carta, difficile da recuperare e preziosa per fissare idee, spunti, progetti. Ma la carta è stata ancora preziosa parecchi decenni dopo la sua morte, tanto che i suoi manoscritti, per alcuni sprovveduti eredi, erano, appunto, carta, magari da rivendere per avvolgervi dentro verdure, carne e pesce (non si andava tanto per il sottile!). Nella migliore delle ipotesi, i manoscritti finivano sulle bancarelle di testi antichi. Alcuni di essi, per fortuna, erano stati conservati da eredi accorti ed erano stati poi messi a disposizione di studiosi come Oronzo Parlangeli e Paolo Stomeo, che li avevano utilizzati nelle indagini effettuate presso l’Università di Lecce, non ancora Del Salento e che li avevano messi in alcuni casi a disposizione di studenti per la redazione di tesi di laurea. Di questi manoscritti si era perduta poi la traccia e si consideravano scomparsi finché agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, rimettendo ordine tra le carte del prof. Parlangeli, la figlia Paola non si imbatté in un pacco avvolto in carta di giornali. Erano i quaderni del Palumbo ed il loro ritrovamento fu comunicato a Franco Palumbo, figlio del grande pittore Michele Palumbo.
A Calimera operava da alcuni anni il Circolo Culturale Ghetonìa, nell’ambito del quale era molto attivo lo studioso Rocco Aprile, legato da grande amicizia a Franco Palumbo. I manoscritti, completati con quello che era stato prestato a Salvatore Sicuro per la realizzazione di “Canti greci di Corigliano d’Otranto”, furono quindi affidati nel 1966 al circolo Ghetonìa per il loro studio e per la realizzazione di pubblicazioni, man mano che se ne fosse presentata la possibilità.
Fu quindi elaborato un piano che prevedeva l’indagine a temi, la trascrizione dei materiali, lo studio e la pubblicazione in griko e in italiano. Si decise di iniziare con le fiabe ed i racconti, i cui testi si trovavano riportati in diversi quaderni. Nel lavoro di indagine, studio, trascrizione e proposizione fu coinvolto Salvatore Tommasi, che aveva da poco concluso Katalisti o kosmo, la prima grammatica scientifica del griko. Ne venne fuori una pubblicazione in due volumi (in griko e in italiano) nella quale trascrizione, studio e traduzione dei brani furono affiancati dalla catalogazione delle fiabe con gli indici di Aarne Thompson e dalla comparazione con la letteratura popolare greca, russa, tedesca, slava e siciliana (Pitrè). La pubblicazione (Ghetonìa, Calimera, 1998) fu resa possibile anche grazie dal sostegno della Commissione Europea, che si apriva alla valorizzazione di lingue e culture minoritarie.
Alcuni anni dopo fu portato avanti lo studio sulla letteratura in versi, nel quale fu coinvolto Salvatore Sicuro, che già aveva curato studio e pubblicazione dei “Canti greci di Corigliano
d’Otranto”. I canti furono organizzati per paese, con lo scopo di valorizzare le differenze che si ritrovano nelle varie espressioni del griko. Per ciascun paese ellenofono, i brani furono ordinati per tema (canti religiosi, canti d’amore, canti dispetto, canti varii, canti di morte). La pubblicazione vide la luce nel 1999.
Lo studio e la pubblicazione dei manoscritti furono conclusi nel 2015 con l’indagine di Francesca Licci su proverbi, ninne nanne, modi di dire, ecc. Tre opere, in quattro volumi, furono raccolte in un cofanetto contenente la Letteratura Popolare Della Grecia Salentina, cofanetto che costituisce la più imponente raccolta di letteratura popolare tra le Minoranze Linguistiche di antico insediamento in Italia.
Ma il Palumbo guardava anche ad Oriente, alla madrepatria greca e proprio per l’utilizzazione in Grecia delle sue ricerche sul campo aveva meticolosamente curato quaderni manoscritti in caratteri greci nei quali aveva proposto molti elementi della letteratura popolare grika, in versi ed in prosa. I manoscritti, portati in vari anni tra Ottocento e Novecento a Costantinopoli (allora greca) parteciparono ad un concorso letterario annuale che il Palumbo vinse per due volte. La guerra greco-turca del 1922, vinta dai turchi, comportò l’esodo dei greci e, con esso, lo spostamento dei manoscritti ad Atene, presso l’Accademia. Il circolo Ghetonìa, con Rocco Aprile e Silvano Palamà, ottenne l’autorizzazione a riproduzione, studio e pubblicazione dei manoscritti. Gli oltre cento anni trascorsi dai manoscritti presso l’Accademia non erano stati sufficienti per giungere a studio e pubblicazione degli stessi. In realtà i testi erano scritti in caratteri greci, ma non in greco, erano in griko traslitterato e ciò ne ha limitato l’uso. Ci hanno pensato due studiosi (Luigi Tommasi per il griko e Jannis Sidirokastritis per il neogreco) a procedere per oltre due anni nello studio comparato dei testi, pubblicati poi da Ghetonìa per l’Unione dei Comuni della Crecìa Salentina. Canti, Fiabe e Dizionario del griko (che precede di varie decine di anni la redazione del vocabolario di griko più antico conosciuto finora, quello del Rholfs) sono i tre tomi dell’opera custodita nel cofanetto de I QUADERNI DI COSTANTINOPOLI.
Una meticolosa biografia del Palumbo è stata curata da Salvatore Tommasi (Argo edizioni, Lecce, 2018) mentre, sempre del Palumbo, sono stati pubblicati a cura di Francesco Giannachi (Ghetonìa, Calimera, 2018) i Canti rodii in greco medievale ritrovati dallo studioso tedesco William Wagner nel 1878 in un manoscritto custodito a Londra e tradotti in italiano dal Palumbo nel 1882 e, di nuovo, nel 1911. Nella pubblicazione di Ghetonìa, la traduzione del Palumbo è affiancata dal testo originale in greco medievale.